Laurea bio

Oggi va tanto di moda il biologico. Chi vuole avere una sicurezza compra bio.

Anche le lauree si sono adeguate: pochi ingredienti (metà esami), attestazioni di qualità gonfiate (voti dal 100 in su) e maggiori investimenti in pubblicità (parenti da tutto il mondo alla discussione e post sui social), confezioni accattivanti (abiti come al matrimonio, fiori e catering con Moet Chandon). Come se non bastasse li vedi i neo-laureati col capo chino, non per la fatica, ma per gli enormi cesti di lattuga sulla testa, neanche fosse una piantagione di erba medica (il povero elegante Laurus Nobilis fine ed essenziale del tutto deposto), ammantati di fiocchi e coccardine rosse.

Mi ricordano i menù di alcuni ristoranti con piatti complicatissimi, fatti da ingegneri della forchetta, dove la lista degli ingredienti è più lunga di un elenco telefonico e le sigle ti fanno credere di mangiare una formula chimica.  La pasta al pomodoro diventa uno spaghetto di Gragnano IGP cotto in acqua Evian con sale rosa dell’ Himalaya, pomodorini del Piennolo del Vesuvio D.O.P. al profumo di basilico di Pra’ con olio extravergine di oliva toscano IGP della nostra cantina…… 18 euro. Poi arriva il piatto sbeccato, la pasta stracotta in fini strati di colla, un pachino tagliato col bisturi in 4 parti, 2 foglie di basilico che del profumo suddetto neanche il ricordo, l’olio in una C, font Air corsivo e dimensione carattere 5.

La mia è stata una cosa più vegana direi. Una laurea che ricorda uno di quei prodotti dove sulla carta dal colore salutare, verde o marrone sbiadito, campeggiano gli ingredienti NO. No glutine. No olio di palma. No burro. No zucchero. No sale. Fatti di niente. Come se sul tabellone della sagra ci fosse scritto: no patatine fritte, no salsicce, no crauti. Non avevo spettatori, solo 4 invidiosi gufanti passati per di lì. Non avevo nemmeno comunicato la data fatidica della tesi ad amici e genitori, che erano sereni al lavoro. Non avevo comprato i confetti o le bomboniere perché la buona laurea aveva appena vomitato fuori dall’ateneo una neo-disoccupata fresca di stampa.  Niente papiro per la città attestante il nulla di una vita passata sui libri e priva di amici per le troppe pagine inghiottite. Una volta il mio maestro mi disse: ‘’Bernecoli si consoli, la solitudine è prerogativa delle grandi menti.’’ Naturalmente di vero c’era solo la solitudine!

Poi arriva la fiera dei controsensi. Bistecche di tofu. Biscotti di ceci. Farina di riso. Crema pasticcera di soia. Formaggio di seitan. Ingegneri che non uniscono sponde, architetti che usano il vetro per le nuove torri di Babele, musicisti che parlano di musica senza suonarla, chirurghi che fanno copia-incolla e tutti talmente specializzati in qualcosa da non ricordare più neppure da dove sono venuti.

 

 

*Giorgio Vasari, Sei poeti toscani, pittura a olio, 1544

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